Il teatro che educa alla pace (Israele)
Jessica Cugini
| 1 febbraio 2009
"Forse non è ancora chiaro: a
noi, alla maggior parte degli israeliani, non importa di vincere la guerra. A
noi importa di vincere la pace!".
E per raggiungere questo obiettivo, vincere la
pace, per tracciare questo difficile cammino, Angelica Edna Calò Livne ha dato
vita, ancora nel 2002, alla Fondazione Beresheet LaShalom, un progetto che
comprende una compagnia teatrale formata da ragazzi ebrei e mussulmani,
cattolici e non credenti dell’Alta Galilea. Tutti uniti nel raggiungimento di un
unico obiettivo: educare alla pace attraverso la lingua universale delle Arti.
Angelica è un’ebrea romana
di cinquantacinque anni che da adulta, a 20 anni, ha deciso di andare a vivere
in Israele, in un kibbutz al confine con il Libano. E’ lì che vive con il marito
e i suoi quattro figli, è lì che ha scelto di costruire la pace, tra la sua
gente, dentro al conflitto. Scegliendo un mezzo differente, il teatro. E’ questo
il suo strumento di comunicazione. Uno strumento capace di risvegliare quei
valori che a volte vengono sopraffatti dalla durezza del cuore umano: il
rispetto, la tolleranza, la pace con se stessi e con gli altri, l'aspirazione al
dialogo e la curiosità sincera per il diverso, cercando di vedere nell’altro una
fonte di crescita e di arricchimento personale.
Il teatro, nelle mani di Angelica
e in quelle degli insegnanti di Galilea, diventa espressione di una convivenza
non solo possibile ma effettiva. «Se non si parte dall'educazione dei giovani,
di tutti i giovani, questa terra non ha futuro – afferma -. Non saranno i capi
di Stato, né i politici a fare la pace. Saranno le madri, gli educatori, gli
scrittori. Ma non tutti: saranno coloro che avranno il coraggio di affrontare la
maggioranza, quella che urla e quella che sta in silenzio, e che non si
stancheranno di credere e dire che l'unica via è quella del confronto,
dell'accettazione dell'altro senza rinnegare la propria identità».
Per 3 anni lo spettacolo Beresheet
della Compagnia Arcobaleno di Sasa è stato rappresentato all’estero per parlare
e far parlare della pace possibile in Israele. Per far conoscere questa
scommessa artistica e umana che testimonia come sia possibile salvaguardare
anche quel dialogo che sembra ogni giorno più fragile. L’opportunità di essere
visti e ascoltati, di portare un messaggio e una testimonianza da quei luoghi di
massacro al resto del mondo, traccia il segno di un percorso possibile.
Angelica ha capito una cosa
fondamentale: che la pace, per realizzarsi, ha bisogno di essere diffusa e per
questo si adopera ogni giorno della sua vita . Nello spettacolo che ha girato
l’Italia , “Bereshit” (“In principio”) spiega che inizialmente ebrei, arabi e
palestinesi erano tutti “figli di un solo Padre”. Così che “Bereshit” diventa la
metafora artistica della possibilità di una nuova convivenza in una terra dove
ancora si continua a combattere.
Non di rado, quando gira l’Italia
Angelica sceglie come compagna di viaggio la sua amica palestinese Samar Sahhar,
direttrice della casa di accoglienza per bambini palestinesi “Jilil Amal” a
Betania. Insieme visitano scuole e licei, centri culturali e associazioni per
raccontare che sì, è possibile: l'educazione può contribuire alla pace, forse è
il mezzo più importante per costruire la pace. Samar è divenuta per Angelica più
di un’amica, una sorella. Per loro non hanno importanza le rispettive posizioni
politiche o il fatto che una viva da una parte e l’altra dall’altra del muro.
«La cosa più importante è che stiamo tentando insieme di costruire un ponte di
reciproca comprensione tra i nostri popoli - dicono all’unisono -. Siamo due
popoli che stanno soffrendo. Ma ci sono tante Samar e tante Angeliche che
vorrebbero vedere i propri figli crescere insieme».
http://www.combonifem.it/articolo.aspx?a=1061&t=P |