Angelica Calò Livne ha impiegato dodici minuti per affascinare il primo gruppo
di ragazzi, quattro in meno per farsi abbracciare dal secondo gruppo.
"Mi chiamo Angelica e anche Edna, sono nata a Roma e vivo nel kibbutz di Sasa,
in Galilea, in Israele...."
In occasione del corso intitolato "Una cultura in tante culture", la scorsa
settimana decine di ragazzi seduti nell'aula milanese dell'Istituto
Professionale Marignoni-Polo, si chiedevano chi fosse Angelica, perchè mai
dovessero essere lì ad ascoltare una sconosciuta al posto delle usuali ore di
lezione. "Nel kibbutz vivono quattrocento persone, la cassa è in comune e il
direttore della fabbrica riceve tanto quanto il gestore della lavanderia.."
Alcuni sguardi incuriositi si levano sul bel volto di Angelica. "Abbiamo la
piscina, il tennis e il country club e un giorno hanno iniziato a caderci
addosso i missili..." Quanto di più lontano possibile dalla vita di tutti i
giorni e dalla comprensione di quei ragazzi dagli sguardi perplessi. "Abbiamo
dovuto evacuare i più giovani, i muri tremavano e io, madre, vivevo con
l'angoscia perchè mio figlio era sotto le armi per difenderci, da noi si cresce
un figlio e poi a diciotto anni va nell'esercito..." Poco più della metà degli
studenti sono ragazze, la maggioranza di origine straniera, i loro occhi ormai
fissi su Angelica, mentre i maschi guardano in aria. "Era il periodo degli
attentati e ho immaginato un progetto in cui i ragazzi ebrei e arabi
partecipassero insieme ad un teatro che li facesse esprimere e costruire un
mondo senza guerra, senza odio, di modo che si guardassero in faccia senza
maschera..." Come farà, mi chiedevo osservando sia Angelica che i ragazzi, due
mondi distinti, come riuscirà Angelica dal nulla a costruire una scala nel buio,
per raggiungere quei giovani, per far loro comprendere una realtà da cui mai
sono stati toccati. "E oltre al teatro dell'Arcobaleno, è in corso un nuovo
progetto con un gruppo di ragazzi che vivono insieme e a loro volta insegnano
tante attività come la danza e il teatro..." Basta che l'ascoltino in dieci, mi
sorpresi a pensare, rifugiandomi preoccupato in una riflessione biblica.
E all'improvviso l'affondo, Angelica posa il primo gradino della scala nel buio,
chiede ai ragazzi di alzarsi e di avvicinarsi e poi, a ritmo di musica, la sua
bella figura si snoda in movimenti decisi e aggraziati che li invita a ripetere,
prima la testa, poi le spalle, i fianchi e ancora camminare sul posto, "Visto?
siamo tutti belli e capaci!", li incoraggia. I ragazzi sono talmente sorpresi
dell'imprevista piega degli eventi che si adeguano volentieri alle nuove
coreografie proposte da Angelica, prima muoversi a coppie, poi uno dietro
l'altro. Angelica ha catturato il loro l'interesse, i loro piedi ormai sono
tutti insieme sul primo gradino della scala nel buio, la classe è diventata un
gruppo con un'anima sola e Angelica è la loro guida, eppure è stato solo il
riscaldamento, come l'insegnante artista avverte sorridendo.
E adesso il momento chiave della trasformazione, Angelica chiede ai ragazzi di
sedersi in cerchio e, seguendo il suo esempio, li invita uno per uno a dire a
tutti gli altri come si chiama, da dove proviene la sua famiglia e per quale
ragione i suoi genitori gli hanno dato quel nome. Inizia la prima ragazza,
Cinzia, la sua famiglia viene dal Perù, poi una ragazza la cui famiglia proviene
dalle Filippine, un ragazzo pure dalle Filippine, l'Algeria, le Mauritius,
ancora cinque dalle Filippine, quattro dall'Italia, raccontano lontane radici
dalla Puglia, dalla Sicilia, il Senegal, l'Ecuador, la Bolivia, la
Spagna,'Egitto. I ragazzi si aiutano a vicenda a parlare, si sorridono, si
sentiva istante dopo istante la montante meraviglia di scoprire un "io" distinto
che interessasse agli altri, che avesse qualcosa da dire, anche se all'apparenza
pareva qualcosa di insignificante.
"Quando ci presentiamo, noi diamo agli altri qualcosa di noi, mettiamo nelle
loro mani la nostra identità", spiega Angelica, i ragazzi sono a bocca aperta,
scoprono sia l'autostima che il desiderio di sentirsi pronti per ascoltare gli
altri e per esserne parte. La scala nel buio, ormai solida e accogliente, si
distende verso la luce.
Angelica escogita una proposta di improvvisazione per mettere in scena quello
che capita quando ci si trova e ci si sente isolati di fronte a barriere
culturali e linguistiche, l'esempio che Angelica stessa recita insieme ad uno
dei ragazzi è quello del turista che si ritrova a chiedere informazioni in un
paese di cui non conosce la lingua, poi due ragazzi interpretano un professore
che parla in un idioma inusuale e il suo traduttore che deve riferire al
pubblico quanto egli dice, la fantasia dei ragazzi si sbizzarrisce, si sono
trasformati in entusiasti partecipanti ad una compagnia di teatro, solo una
ragazza esile e dolce si emoziona e si risiede a testa bassa. Angelica non
smette di circondarla di affetto fino a che non riprende a sorridere. Avvolta
dalla comprensione, per la ragazza è un insegnamento lo stesso, la prossima
volta supererà con semplicità la barriera interiore, si impara anche così.
L'ultimo regalo di Angelica ai ragazzi è mostrare che possono volare anche senza
una guida, solo dando ascolto al loro animo, li divide in gruppetti e propone
loro di creare una statua vivente, l'argomento è il passaggio dal conflitto alla
pace e le coreografie che essi compongono sono il riflesso dell'entusiasmo con
il quale la loro mente si è trasformata e aperta, Angelica li ha presi per mano
e li ha condotti fino all'ultimo gradino della scala nel buio, fino alla luce e
alla comprensione e all'alleanza.
Quei ragazzi, che avevano mugugnato quando prima della lezione erano stati
informati che avrebbero saltato l'intervallo, adesso non vogliono staccarsi da
Angelica, la applaudono, la abbracciano, ma non solo, finalmente si sono
conosciuti tra loro, hanno appreso ad essere davvero amici, anzichè casuali e
sconosciuti compagni di classe, a proporre e a condividere, hanno compreso che
si può essere contemporaneamente sia individui che parte della società, hanno
lasciato cadere le maschere protettive che li annullavano e li allontanavano.
Con il secondo gruppo di ragazzi, come detto all'inizio, Angelica ci ha messo di
meno a farsi abbracciare, ma non perchè la ripetizione fosse più facile, anzi,
l'impresa appariva una missione impossibile, tanto che Angelica ha avuto
l'abilità di modificare del tutto l'approccio. La classe era composta da un
numero maggiore di ragazzi di origine italiana e si notava che si lasciavano
guidare da un loro compagno che non faceva altro che interrompere e deridere
apertamente Angelica e gli altri non sapevano chi seguire, se il loro compagno o
Angelica, l'atmosfera per alcuni secondi si era fatta gelida e ostile.
"Non perdete le occasioni ragazzi, possono non ripresentarsi", Angelica li
spronava dolcemente.
Infine il ragazzo intemperante è stato allontanato ed ho avvertito come se i
suoi compagni tirassero un sospiro di sollievo, non uno di essi si è dimostrato
solidale con lui, si sono sentiti sollevati, liberati, come se avessero sofferto
e subito per molto tempo e immediatamente la loro gratitudine si è riversata su
Angelica con conseguenze ancora più sorprendenti di quanto avvenuto con la meno
problematica classe precedente. E nel cerchio delle presentazioni con nome e
storia della famiglia, si susseguivano le singole voci che narravano non solo di
Italia, ma anche di Colombia, Marocco, Albania, Eritrea, Cina, Filippine,
Mauritius, Perù e anche i ragazzi italiani venivano strappati dall'apparente
difensivo distacco fino alla convinta curiosità per i compagni che provenivano
da tanti angoli diversi del pianeta, tanto da divenire i trascinatori delle
improvvisazioni che Angelica proponeva, esilarante l'improvvisazione di due
ragazze chiamate da Angelica a recitare l'una la parte di una professoressa
norvegese scopritrice di improbabili qualità della zuppa di cipolle e l'altra
quella della sua traduttrice che accompagnava le finte rielaborazioni in
italiano con espressioni teatralmente disgustate dal pensiero delle orride
verdure.
"Come avete visto, tutti noi abbiamo delle idee da proporre agli altri, secondo
voi perchè sovente ci vergognamo?", chiedeva Angelica ai ragazzi che pendevano
dalle sue labbra. "Perchè non ci conosciamo", rispondevano diverse voci.
"Esatto, abbiamo timore di esprimerci con gli altri perchè non li conosciamo",
riprendeva Angelica. "eppure nessuno di noi o degli altri è perfetto o
superiore, ci pensate quante occasioni perdiamo? Ricordate, le occasioni si
devono prendere, possono non ritornare e ce ne pentiremo, in qualunque
circostanza, nel lavoro, quando desiderate far conoscere il vostro cuore a chi
amate".
E alla fine sono stati i ragazzi a sorprendere Angelica, le coreografie che essi
hanno creato in pochi minuti rappresentando la scultura vivente sul passaggio
dal conflitto alla pace si sono mostrate di una profondità e di una originalità
eccezionali e alla fine della lezione la classe intera ha addirittura acclamato
più volte Angelica, ma non per adularla, ma perchè quei ragazzi erano
convintamente al suo fianco e avrebbero portato per sempre con sé quei preziosi
insegnamenti di vita di quella incredibile giornata. "Io sono qui solo per
un'ora", aveva detto Angelica ai ragazzi, "dentro di noi per sempre", le
rispondevano. Non posso fare a meno di pensare ancora a quel ragazzo
intemperante, quando rivedrà i suoi compagni in classe si accorgerà che la sua
maschera di duro per attirare l'attenzione degli altri non riuscirà più ad avere
l'effetto originario, si renderà conto della sua solitudine e forse deciderà di
gettare la maschera e di abbracciare la libertà che gli proporranno i compagni.
Anch'egli così non perderà l'occasione unica, perchè la forza del messaggio di
Angelica è che chi lo raccoglie, poi lo trasmette.
Sono tornato a casa commosso, incredulo di quanto avevo visto, riflettevo sulla
scala nel buio, la capacità tutta ebraica di Angelica di farsi strada dal nulla
verso la luce. Mi sono venute in mente delle immagini, la forza dello spirito di
Israele di mantenere la fede che in qualsiasi buio ci si trovi, esiste qualcosa
di diverso e, anche se a volte non potremo raggiungerlo, questo non significa
che non esista e questa considerazione permette all'animo di mantenere la
speranza e, se ci riesce, di costruire la scala che si arrampica fuori dalle
tenebre. E quanti esempi, dagli splendidi quadri di Samuele Navarro protesi
verso un mondo al di là, alle sculture di Luciana Matalon, anche quando descrive
i momenti di persecuzione nelle sue opere c'è sovente una torre che si libra
verso l'alto. Se dovessi riassumere lo spirito di Israele con una piccola
storiella, sarebbe questa : Il distruttore senza ragione dice a Israele :"io
sono il mondo e ti distruggo" e lo spirito di Israele risponde :"tu forse mi
distruggi, è vero, ma non sei il mondo, c'è ben altro, io lo so".
E mentre Angelica illuminava tanti ragazzi, mentre una scienziata israeliana
vinceva un Nobel per la chimica, mentre una azienda israeliana vendeva alla
Volvo un sistema salvavita per i pedoni, paradossalmente nello stesso istante a
decine si levavano nuove voci che invocavano l'odio e la distruzione di Israele,
dal consiglio dei "diritti umani di Ginevra", a manifestazioni e discorsi in
giro per il pianeta. Nonostante questo buio, Angelica costruisce perchè sa che
quello dei distruttori non è il mondo.
Roberto Mahlab