BERESHEET LA SHALOM TEATRO ARCOBALENO

Stampa 2009

 

 

 

Viaggio in Israele un'esperienza indimenticabile
Un reportage di Teresa Di Santo

Teresa Di Santo, professoressa d'Inglese alla Scuola Alberghiera di Marino, ha scritto questo splendido rapporto per la Provincia di Roma dopo il viaggio: IMPARARE IN AMICIZIA.

La proposta di un viaggio in terre così lontane aveva animato l’entusiasmo di circa cento ragazzi e cento mani si erano sollevate per aderire ad un “sogno” divenuto realtà; ma la paura di molti genitori, legata all’idea di mandare i propri figli in un territorio considerato così a “ rischio” aveva diminuito, improvvisamente, il numero degli allievi.
Erano solo 20-25 quelli decisi a partire.
Chissà, la loro curiosità, la voglia di evadere e di divertirsi in gruppo, l’entusiasmo di noi accompagnatori li ha resi determinati a superare qualsiasi ostacolo.
All’aeroporto la rigidità della “sicurezza” israeliana, le mille domande i controlli più accurati li hanno subito messi di fronte alla realtà: “Israele era un paese particolare”.
Si atterra a Tel Aviv nel cuore della notte, altre domande e infine all’uscita dall’areoporto ci viene incontro il sorriso e l’abbraccio di Edna Calò, donna eccezionale, che da anni attraverso la sua attività teatrale, lavora per promuovere la pace tra mussulmani, ebrei e cristiani. Edna parla in italiano perché fino a 20 anni ha studiato e vissuto a Roma con i suoi genitori, poi ha preso la decisione di vivere in Israele e di far parte di una comunità di Kibbutzini. Si sposa, ha quattro figli maschi e il suo fine diventa quello di lavorare con e per i ragazzi, stelle vaganti, future speranze e messaggeri di un mondo migliore.
Per coronare il suo sogno riesce a convincere la comunità del Kibbutz Sasa, fondato da ebrei americani, che l’insegnamento del teatro (considerata attività inutile per la comunità ) sarebbe potuto divenire uno strumento di pace e infatti nel 2005 Edna viene candidata al premio Nobel, insieme alla sua amica palestinese Samar Sahar.
Tra i ragazzi di Marino e Edna si crea un feeling particolare. La sua disponibilità, il suo modo di essere, metterli al centro della sua attenzione e farli sentire protagonisti, attori principali della scena, trasformerà questo viaggio in un’avventura meravigliosa.
Tutto ruoterà intorno ai venti ragazzi, poiché loro, anche se contaminati dai pregiudizi sociali, sono giovani adolescenti e quindi ancora pronti a recepire e a cambiare opinione.
In fondo ognuno di noi non è altro che il frutto della continua interazione tra ciò che siamo e le continue esperienze che incontriamo durante il percorso della nostra vita; quindi per i ragazzi di Marino, il viaggio, grazie all’intensità del programma e alle strategie utilizzate da Edna, si è trasformato in un viaggio alla scoperta del proprio Io e molti di loro hanno mostrato delle capacità e delle abilità sconosciute forse anche a se stessi.
Edna è accompagnata da alcuni ragazzi che fanno parte della fondazione “Beresheet la Shalom”. Sono di diverse etnie: Omer è israeliano, Jamil è arabo cristiano, Avri è un ebreo praticante. Sono ragazzi semplici: Omer ama la musica e la fotografia, Avri ha una montagna di capelli ricci e veste in modo particolare perché usa cucirsi gli abiti da solo e Jamil ha due occhi neri, grandi e profondi.
Già sul pullman che ci conduce all’estremo nord d’Israele, in Galilea, sul Monte Meron, dove il gruppo verrà ospitato per l’intera settimana, i ragazzi di Edna si avvicinano ai nostri. La sorpresa si intreccia alla curiosità e le prime frasi in inglese, le più semplici, servono per cominciare a conoscersi. Da questo momento in poi i due gruppi diventeranno inseparabili: mangeranno insieme, cammineranno, giocheranno e cucineranno sempre insieme.
Forse neanche sanno bene il significato di intercultura, ma loro sono la prova che tutto ciò è possibile : le barriere cadono, il colore della pelle di Jamil, la religione di Avri così diversa, gli usi e costumi degli arabi, tutto serve per avvicinarsi e conoscersi meglio. In questo nuovo mondo le differenze attraggono, diventano risorse positive e ciò che non si riesce a tradurre si trasmette attraverso un linguaggio non verbale: un gesto, un sorriso, uno sguardo, una pacca sulla spalla. L’entusiasmo accomuna i ragazzi: Luca ha trovato in Avri il suo alter-ego, Flaviano ha imparato con Omer i numeri in lingua Ebraica, Riccardo insegna a Jamil una filastrocca in dialetto Marinese. Ridono insieme e ogni parola nuova imparata è una nuova conquista.
Uno dei punti di forza di Edna è stato il gioco: in cerchio ci si conosce, si parla, si ascolta, si gioca, si scarica o ci si carica di energia; il cerchio diventa magia , il modo per confrontarsi e scambiare le differenze vissute.
Tutto serve per avviare quel processo di intercultura e di valorizzazione delle conoscenze e delle risorse di ogni ragazzo.

“ IMPARARE IN AMICIZIA”

Questo era il programma e tanto hanno imparato i ragazzi di Marino con l’aiuto e l’affetto di quei ragazzi incontrati in “quelle terre lontane”. Sotto la guida di Edna , la geografia si intreccia alla storia, la storia delle religioni alle abitudini alimentari, le tradizioni al folklore, il passato al presente.
E’ facile dimenticare ciò che si legge tra i banchi di scuola, ma nella mente di ognuno rimarrà impresso che cos’è un Kibbutz ; come studiano i ragazzi di quelle comunità; la piccola cittadina di Zfat , dove vivono gli Ebrei ortodossi dai lunghi riccioli e cappelloni neri; i Cirkassi,di origine caucasica, dagli sguardi fieri e le donne bellissime ; i Drusi e infine i Palestinesi con le loro storie, la tristezza negli occhi, il dolore nel cuore e la speranza in un futuro migliore. E come dimenticare i racconti di Yehuda, ricchi di fascino, ma impregnati di morale e pensieri filosofici o le testimonianze di due giovani obbligati al servizio militare per tre anni. E quelle sculture di Varda che trasmettono tutta l’ansia, la paura, ma la forza che può provare una madre di cinque figli, costretti a difendere un territorio donato ma continuamente rivendicato.
E i ragazzi ascoltano, in silenzio, testimoni di una realtà che non gli appartiene, ma pronti, come dice Riccardo, a portare con loro il messaggio di pace.
Edna scrive: “Qualcosa di Alto ha abbracciato tutti noi in una nuvola leggera di speranza e affetto. Le nostre scintille porteranno il bene nel mondo”.
Viene organizzata una giornata nella natura. Ancora una volta i protagonisti sono loro: i ragazzi di Marino. Si dividono in tre gruppi e, per attirare l’attenzione sulle cose da ricordare e imparare, si utilizza il gioco come strumento. Si sale a fatica sul monte Meron, tra nuove sensazioni e l’intensità del profumo delle erbe selvatiche, e in nome della solidarietà, collaborazione, rispetto per l’ambiente e la natura si guadagnano punti. Gli allievi si rendono disponibili e pronti ad aiutare chi è in difficoltà, fino alla gara finale di sopravvivenza. Devono dar prova delle loro abilità organizzative e culinarie, accendere il fuoco con ciò che offre la natura e preparare la pizza, la pasta e il dolce.
Gli adulti restano lì a guardare , sorpresi e incuriositi: Eric ha già impastato la pizza e Riccardo per farla lievitare l’avvolge nella felpa e la mette vicino al fuoco. Enrico prepara i peperoni, Marco la salsa alla Norma, con le melanzane e Luca immerge la frutta in una fonduta di cioccolato.
Non si sono persi d’animo, hanno lavorato collaborando democraticamente, con rapidità e mettendo in pratica tutte le competenze apprese a scuola.
Noi insegnanti guardavamo i nostri ragazzi, orgogliosi ed io emozionata pensavo: “ecco, questo ci ripaga di tutto il nostro lavoro”, e di fronte alla pasta fumante e alla pizza, non proprio tonda, ma dal sapore particolarmente buono, avrei voluto dire : “grazie ragazzi”.

Parte II

Altre prove li hanno sempre trovati pronti di fronte alle varie situazioni: Si balla con i Cirkassi e si fa lezione di cucina con lo chef del kibbuz Sasa Cesare Funaro e i ragazzi sono lì, con la loro giacca bianca, lo stemma della Provincia di Roma e il cappello bianco; si parla di falafel e insieme ai ragazzi di Beresheet si prepara il pane. “Guarda” dice Enrico ad Omer, “ti insegno a fare una treccia con l’impasto”. Quante esperienze ci si scambia : “s’ impara in amicizia”.
Le diverse culture ed etnie si sono incontrate, confrontate, hanno convissuto per un periodo così breve, ma così intenso da sembrare infinito, si sono fuse in un’amicizia che ha determinato un arricchimento interiore reciproco.

Il viaggio, e quindi avere delle esperienze al di fuori del proprio nucleo familiare, ha avuto sempre come obiettivo la crescita dell’individuo, e in passato, il viaggio, in un adolescente, equivaleva alla sua iniziazione.
Non so se questo viaggio abbia indotto dei profondi cambiamenti nella percezione degli allievi, ma il loro atteggiamento è stato sicuramente di apertura nei confronti del “diverso”: Hanno compreso che l’intolleranza e il razzismo sono frutto solo di pregiudizi sociali e che “ la conoscenza dell’Altro”, la comprensione dei vari punti di vista, l’accoglienza reciproca, riduce le distanze e può abbattere qualsiasi muro. I ragazzi hanno capito che tanti giovani israeliani, costretti a vivere nella continua paura di una possibile e sempre imminente guerra, vorrebbero la pace e una convivenza democratica e che, purtroppo, frange estremiste non lo permettono.
L’ultima sera, in cerchio, ognuno di noi, ha espresso il proprio pensiero e l’empatia che si era creata si leggeva negli occhi lucidi di tutti, e un lungo abbraccio globale ha chiuso la serata con l’augurio di rivederci presto.
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Nel 1980 l’UNESCO ha ribadito la definizione di INTERCULTURA:
INTER = interazione – scambio – eliminazione delle barriere
CULTURA = riconoscimento dei valori e modi di vita In un mondo, caratterizzato da un vasto processo di Globalizzazione, Internet e facebook e “poiché la società in cui viviamo è caratterizzato da un complesso intersecarsi di culture, diventa sempre più urgente un processo di formazione che punti alla solidarietà e coesione sociale”.

Le strategie utilizzate da Edna Calò sono sicuramente risultate delle strategie vincenti per il raggiungimento degli obiettivi prefissati: l’educazione interculturale.
Edna è riuscita a toccare quei tasti giusti che riportano l’essere umano indietro negli anni ed è riuscita a spogliarlo di quella corazza e di quelle maschere che così spesso si indossano per difesa e che finiscono per distanziarci dagli altri.
Edna si è servita di stimoli come: La narrazione – il gioco – l’abilità fisica – il teatro – il contatto con la natura – l’accentuazione delle diverse abitudini alimentari.
Tutto ciò ha recuperato quella dimensione affettiva, emotiva ed empatica e soprattutto quel dialogo che troppo spesso è presente nelle comunità più semplici e viene sempre meno nelle società capitaliste.
Comunità semplice non significa carente nell’istruzione, anzi la particolarità dei Kibbutzini è dare priorità all’educazione e all’istruzione dei loro figli: le scuole superiori sono articolate in maniera tale da consentire una cultura di base uguale per tutti, e la specializzazione viene demandata ad una parte delle ore settimanali.
Quindi Edna ha riportato in superficie quei valori presenti in ognuno di noi, ma troppo spesso dimenticati.

Di Santo Teresa 

 
DICEMBRE 2009