Un mondo dove la pace è possibile
07 febbraio 2006
Vogliamoci tutti bene, siamo tutti fratelli.
Belle parole, facili da pronunciare meno da applicare nella vita di
tutti i giorni, soprattutto se “l’altro” appartiene ad una etnia/confessione
diversa, tradizionalmente nemica. Provate ad immaginare una simile dichiarazione,
magari accompagnata dall’intenzione di vivere e lavorare assieme, tra
un ebreo ed un palestinese. Inammissibile? Tutt’altro! E’ possibile
ed avviene ogni giorno grazie alla coraggiosa attività d’Angelica Calò
Livné, un’ebrea nata a Roma, che vive in Israele nel kibbutz Sasa, in
Alta Galilea.
Angelica
insegna a ragazzi difficili già espulsi dalle scuole. Organizza laboratori
serali dove le donne povere imparano un mestiere. Ha fondato nel suo
kibbutz un rinomato agriturismo, aperto a tutti. E nel settembre del
2003 ha deciso di creare una compagnia teatrale di ragazzi ebrei ed
arabi “Teatro dell’Arcobaleno” perchè crede nel teatro come strumento
di crescita, d’unione e collaborazione
Una missione per la quale Angelica e Samar,
una palestinese cristiana nata a Gerusalemme, che vive a Betania, hanno
ricevuto ad Assisi, il 22 maggio 2004, il Premio per la pace al femminile,
un premio per aver educato i giovani alla convivenza tra le diverse
fedi. Non solo a scuola, ma anche con un panificio e una compagnia teatrale.
Il teatro è solo uno degli strumenti che
la Fondazione Beresheet LeShalom-Masks Off utilizza per far prendere
coscienza ai giovani del loro contributo alla società che li circonda,
imparando a capire il loro compito nella vita e coinvolgere quanto vengono
a contatto con loro. Ma passiamo la parola alla diretta interessata,
saranno le sue parole a raccontarci questa incredibile e utopica, ma
nello stesso tempo appassionante esperienza educativa: insegnare a recitare
la pace a ragazzi di diverse confessioni religiose, con la speranza
di vedere un mondo migliore. Un mondo dove la pace è possibile.
Angelica quali obiettivi si prefigge
la fondazione Beresheet LaShalom?
L’obiettivo principale della fondazione
è lo sviluppo di una leadership giovanile, pronta a collaborare per
un futuro sicuro e positivo nella comunita' nella quale vivranno, ed
educare alla pace e al coinvolgimento sociale attraverso il linguaggio
universale delle arti. Attraverso l'educazione ai valori di mediazione
e negoziazione, l'incremento e lo sviluppo dei rapporti umani e sociali
degli abitanti della Galilea di diverse culture come modello di laboratorio
di convivenza, l'approfondimento del valore della diversità come fonte
di arricchimento personale - la positività diviene parte integrante
delle loro azioni e li aiuta a superare il malessere dell’adolescenza,
dando loro la forza per migliorare il mondo che li accoglierà in futuro.
Un mondo dove si possa vivere senza il bisogno di celarsi dietro una
maschera.
Quasi sono i programmi che portate
avanti?
I progetti sono: Workshops e Spettacoli
con ragazzi di etnie, religioni e culture diverse per conoscersi attraverso
le attività. La giornata del pane: 50 donne israeliane e 50 donne palestinesi
insieme in un’attività quotidiana. Conferenze e testimonianze sulla
vita in Israele e in Palestina. Attività educative e formative ai due
lati della barriera di sicurezza. Pubblicazioni di articoli e libri
sugli aspetti positivi della convivenza tra israeliani e arabi. Viaggi
di ragazzi israeliani e palestinesi in missione di pace. Organizzazione
di vacanze in Italia per giovani vittime israeliane del terrorismo.
Quali resistenze ha incontrato
nel far accettare alle rispettive famiglie che i propri figli lavorassero
con i figli del nemico?
Non voglio usare la parola NEMICO, i ragazzi
del Teatro dell'Arcobaleno sono tutti israeliani della Galilea, ragazzi
di fedi, culture e lingue diverse che stanno imparando attraverso l'amicizia
sincera che la differenza è ricchezza, uno stimolo a scoprire, a migliorarsi,
ad imparare di piu' su se stessi e sugli altri. L'apice di questa consapevolezza
l'hanno raggiunta lo scorso dicembre quando Padre Faltas ci ha invitato
per la prima volta a partecipare ad una delegazione di giovani palestinesi
ed israeliani che si recavano insieme in Italia. Dopo
le prime attivita' di amalgamento del gruppo, di conoscenza, di confronto
sulla propria vita quotidiana, i ragazzi hanno istaurato un rapporto
di profonda amicizia che diventerà per loro un retaggio. E anche per
le loro famiglie. I genitori erano molto emozionati ed orgogliosi di
questo incontro, di una simile opportunità. Non tutti i nostri vicini
sono dei fabbricatori di cinture esplosive, non tutti sono d'accordo
con l'idea di distruggere. C'e' molta gente che desidera finirla con
questa guerra senza speranza e noi siamo qui per dar loro la forza di
affrontare chi tiene loro e noi in ostaggio!
Quali sono stati invece i problemi
che hanno incontrato i ragazzi nell’integrarsi fra di loro?
Dopo aver superato il problema della lingua
i ragazzi non devono affrontare nessun altro problema. I nostri incontri
iniziano attraverso il linguaggio non verbale: la musica, l'improvvisazione,
gag di mimo dove ognuno scopre che i problemi di un ragazzo a 13-20
anni sono comuni o quasi a tutti i ragazzi del mondo (fumo, droga, alcohol,
differenze generazionali, poverta', sogni....). Nella nostra differenza
cerchiamo il comune e impariamo modi diversi di affrontare e risolvere
i problemi nelle differenti culture. Impariamo, registriamo nell'anima
e cresciamo: tutti!
E l’opinione pubblica come haaccolto
questa iniziativa?
All'inizio è stato difficile. Il teatro
è nato nel settembre del 2002, al culmine dell'intifada. Sembrava impensabile
mettere insieme ebrei e arabi. Ma il nostro primo spettacolo Beresheet,
ha conquistato tutti!
Come avviene, in pratica, l’integrazione
fra i ragazzi della compagnia? C’è uno scambio di valori oppure avviene
soltanto una semplice convivenza pacifica?
La compagnia è formata da 25 ragazzi con
un’eta compresa dai 13 ai 20 anni, che ogni giovedì s’incontrano per
tre ore. Dopo aver lavorato un'ora circa per riscaldar gli spiriti
a suon di musica, di ballo, di piccoli incontri in coppia o in gruppi
di tre, dove si racconta cosa è successo durante la settimana, ci si
siede in cerchio e si affronta un argomento: la solitudine, l'amicizia,
la megalomania, la carriera. A questo punto i ragazzi si dividono in
gruppi di cinque e si crea una gag, una storia, una scena, un cartellone
che si presenta agli altri. E' difficile che si arrivi ad una discussione
perché c'è una grande sensibilità verso il dolore degli altri, una volontà
profonda di costruire qualcosa e non di distruggere. La responsabilità
profonda di una missione nella quale si deve rispettare il prossimo
e costruire una storia comune che sia d’esempio. Cosi nascono anche
i nostri spettacoli.
Che tipo di opere rappresentate
e qual è stato il vostro maggiore successo?
Questo
è ciò che scriviamo ai nostri spettatori: “Il Teatro dell'Arcobaleno
nasce in Galilea dove vivono a poca distanza gli uni dagli altri, in
armonia, Ebrei, Arabi, Cristiani, Mussulmani, Cirkassi, Drusi, religiosi,
laici, kibbuzim, e moshavim. Gli spettacoli a cui assisterete hanno
un valore speciale e unico. Sono il prodotto di una collaborazione,
di un'amicizia, di un dialogo che dura e fiorisce ormai da anni. Un
lavoro che continua fino ad oggi. Il messaggio che ne scaturisce paradossalmente
arriva da una terra dove la Pace ha un significato profondo, ambito,
sognato da secoli. Dove si è conosciuta sulla propria pelle la paura
della morte, l'orrore anche nella quotidianità. E' un lavoro di autoeducazione.
Nel quale ci s’impone di continuare a credere nella positività. Di continuare
a sperare. Di non arrendersi al male, al terrore e all'impulso di reagire
in un modo che non rispecchierebbe il proprio spirito. Assistendo ai
nostri spettacoli diverrete insieme a noi parte di un sogno che si sta'
avverando. Di una realtà che si potrà attuare solo continuando a pensare
positivamente, a costruire, a dialogare e a cercare a tutti i costi
il bene, anche quando non si intravede più nessuna luce alla fine del
tunnel. Riceverete quella forza di cui tutti abbiamo tanto bisogno quando
brancoliamo nel buio più disperato e sembra che tutte le speranze
siano svanite”.
Al momento il nostro cavallo di battaglia
è “Anne in the Sky”, messa in scena a Venezia il 4 settembre scorso
a margine del Festival del cinema. I ragazzi, attraverso la vicenda
terribile dell’adolescente morta nel lager di Bergen Belsen, indicano
agli adulti la strada che vogliono seguire per vivere pacificamente
in Israele, il loro Paese. Insieme, attraverso le parole che Anna ci
ha lasciato nel suo lucido Diario, gli attori , dagli 8 ai 17 anni,
raccontano paure e desideri di una generazione nata e vissuta fra attentati
kamikaze, missili e carri armati, dimostrazione vivente che la convivenza
non solo è possibile, ma diventa percorso comune di crescita e accettazione
dell’altro.
Mi puoi raccontare un evento che
ti ha particolarmente commossa?
Qualche settimana fa ho dovuto ricominciare
da capo l'allestimento di Beresheet. Ogni anno se ne vanno via 10 ragazzi
(che si arruolano, gli ebrei, o vanno all'università, gli arabi) e se
ne aggiungono altrettanti. Improvvisamente per provocarli ho detto:
“Scusate ragazzi, ma ha un senso continuare con questo spettacolo? Siamo
ormai usciti da Gaza e, per merito della barriera, sono quasi finiti
gli attentati. Sharon ha fondato un partito per la pace...”.
Meital mi ha guardato e ha esordito: "Certo...prima
ci infondi questo virus, questa frenesia che ci impedisce di tacere
davanti alle ingiustizie poi ci chiedi di ignorarle? Angelica, se anche
domattina ci fosse la pace, non solo in Medio Oriente ma in tutto il
mondo, ci saranno sempre ricchi e poveri, sfruttati e sfruttatori, uomini
e donne, religiosi e laici e ora che noi abbiamo imparato a far parte
del mondo, non possiamo più tacere, non possiamo più starcene impalati
a guardare il mondo che gira a modo suo. Siamo noi che dobbiamo scriverci
la nostra Storia!”.
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