L'opera di Samar un fiore nel deserto degli uomini
Pellegrini alla Lazarus
Home, dove vive un centinaio di bimbi abbandonati.
L'appello: salviamo Norma
05/06/2010
Samar è palestinese, cristiana. Figlia di protestanti ha ereditato dai genitori
l’orfanatrofio di Betania, e adesso vive con ragazze madri, perlopiù mussulmane,
e bambini abbandonati.
Nella sua "casa" più di cento bambini orfani imparano a perdonare e un gruppo di
donne palestinesi si rifanno una vita.
Vive un’esperienza di verginità «per vivere meglio la maternità con i bambini»,
dicendolo si commuove: «Con tutto il cuore io li chiamo miei figli».
«Io passo in questo mondo una volta. Se c’è un bene da fare, una gentilezza,
un’azione, fammi o Dio, farla adesso, perché io non passo da qui un’altra
volta», sono queste le parole che Samar si ripete sempre. Le dice nel suo
italiano appreso dai tanti amici che ha in Italia.
Moltissimi pellegrini in Terra Santa l’hanno conosciuta visitando la sua casa a
Betania, con molti coltiva un rapporto di amicizia e a tutti ha consegnato la
sua storia. Oltre un centinaio da Imola e Lugo hanno trascorso un pomeriggio con
lei fra gli abbracci dei suoi bambini e presto torneranno a salutarla nel
prossimo pellegrinaggio di novembre con don Leonardo Poli.
Lazarus Home è il nome che ha dato alla struttura di accoglienza delle donne
palestinesi perché: «Prego sempre Dio di ridare la vita a queste donne di
Palestina, allo stesso modo in cui Gesù ha fatto con Lazzaro».
E’ una casa di accoglienza, come quelle che ci sono in Italia, ma qui è l’unica
in Palestina, come un oasi in mezzo al deserto.
«Potere entrare in casa di Samar», ricorda Charly, l’amico italiano che
organizzando pellegrinaggi sostiene anche la sua testimonianza, «è un dono di
per sé, non si è mai sicuri di poterlo fare fino a poco prima. In questa dura
"no man’s land" stretta tra il muro israeliano e la cupa sagoma di una moschea
in costruzione, le minacce alla presenza di Samar sono quotidiane. Ci può essere
sempre qualcuno che tira sassi agli amici di Samar, che a Betania vuol dire un
ospedale che non c’è, ma è cristiana e non porta il velo. O ci può essere un
padre che assedia l’unico orfanotrofio femminile della Palestina, perché non
tollera che una bimba picchiata e abbandonata per strada possa essere soccorsa
da qualcuno». Samar si batte con le opere, con le parole e sempre con la fede
cristiana perché tra la sua gente ci sia più famiglia, più salute, più
educazione, più futuro, più civiltà dell’uomo.
Oggi la storia viva e sanguinante è quella di Norma, quindici anni, strappata
dai servizi sociali a chi l’aveva liberata da una vita di abusi e sevizie.
Rodolfo Casadei ha raccontato la sua storia nel settimanale "Tempi" con dovizia
di particolari. Le cose sono andate cosi: Norma arrivò a casa di Samar portata
direttamente dall’ospedale, l’avevano portata legata mani e piedi all’interno di
una grotta coperta di ferite e bruciature. A ridurla in quelle condizioni erano
stati i familiari, aveva sei anni. Qualche tempo dopo arrivò anche la sorella
maggiore, Nabila, a sua volta torturata e abbandonata dai genitori, aveva le
orecchie mozzate e bruciature sul volto.
Dopo più di nove anni a proteggere Norma e Nabila, Samar è riuscita a mettere al
sicuro Nabila, che si è sposata con un giovane del posto pieno di buone
intenzioni. Per superare l’opposizione del padre, Samar si è rivolta al
tribunale islamico palestinese, che ha dato il benestare e costretto il padre a
riconoscerlo. Dopo qualche giorno, a causa di un particolare relativo alla
cerimonia, il corteo nuziale con cui la sposa viene condotta a casa dello sposo,
l’ishar, il direttore dei servizi sociali infama Samar: «Mi infamava dicendo che
sono cristiana e non so nulla dell’islam e senza ishar il matrimonio non vale».
Che sia essenziale al rito matrimoniale islamico lo pensa solo il direttore dei
servizi sociali di Betlemme. Ma il fatto di essere contraddetto da una donna
cristiana lo ha mandato su tutte le furie. Così ha mandato i suoi sgherri alla
casa di Betania ed ha preso la sorella minore Norma in ostaggio mandandola in
riformatorio a due ore di distanza da Betania.
«Un gesto compiuto per pura cattiveria, per una ripicca stupida, per la
piccineria malvagia di un pubblico ufficiale - descrive Casadei - per
costringere la sorella maggiore a fare le cose come aveva deciso lui prende la
sua sorellina Norma in ostaggio, trascinandola svenuta alla sede dei servizi
sociali».
Norma soffre fisicamente e psicologicamente, Samar si è rivolta a tutte le
autorità palestinesi ma nessuno interviene. «Quanti modi ci sono di abusare una
bambina», conclude Casadei.
Relegati in un limbo politico da autorità inaffidabili combattono in prima
linea.
Samar ha scritto, aggiornando della situazione. E’ una lettera struggente,
agghiacciante ma soprattutto così commovente da illuminare tutta la sua opera.
Semplice e libera nella tribolazione, Samar è definita dal rapporto con Cristo,
vivo e presente. Vibra dell’affetto e del sostegno degli amici con il suo cuore
indomabile. In una situazione come quella della Terrasanta, trionfo di ogni
veto, di ogni sospetto, dove i piedi non sono mai abbastanza di piombo, la
presenza di Samar brilla dell’incontro con Gesù Cristo risvegliando la persona e
la libertà nel loro indistruttibile legame con il Mistero che proprio in questa
terra ha vissuto, mangiato, camminato, parlato, guarito, sofferto.
Samar: una palestinese cristiana, mamma di cento bambini. E’ un fiore di
speranza e d’amore che oltre ad accogliere, educa, istruisce, ama.
Paola Paoletti e i Pellegrini della Diocesi |