La scommessa dell’educazione
di Giorgio Paolucci
Avvenire, domenica 11 aprile 2004 pag. 9
Parte dal kibbutz Sasa, vicino ai confini con Siria e Libano, il
lavoro di una donna di origini italiane che porta sulla scena li
dramma della violenza in Medio Oriente. E la possibilità di una
nuova convivenza.
Qui sopra, Samar Sahhar (a sinistra) e Angelica
Calò Livné a Gerusalemme lungo la Via Dolorosa. In alto i ragazzini
arabi ospiti de l’orfanotrofio JeeI Al- Amal («Generazione della
speranza») a Betania, e l’ingresso del forno dove lavoreranno
insieme donne palestinesi e israeliane. Sotto, i giovani del Teatro
dell’Arcobaleno.
Ha abbracciato un suo allievo arabo orgoglioso di
essere pronto a fare il kamikaze per il bene della propria terra, e
gli ha gridato: tu non devi morire per la Palestina, tu devi vivere
per la Palestina. Insegna in cinque scuole dell’Alta Galilea, fa
parte del gruppo «Leadership nell’educazione» formato da insegnanti
ebrei, cristiani e musulmani che costruiscono con i giovani progetti
di convivenza. Ventotto anni fa, arrivata in Israele da Roma dove
era nata e cresciuta, ha deciso di fermarsi a vivere nel kibbulz
Sasa, a pochi chilometri dai confini con la Siria e il Libano, uno
dei pochi in cui continua a regnare la logica della. condivisione
totale dei beni tra i residenti. Ha fondato la compagnia del Teatro
dell’Arcobaleno formata da giovani di diverse etnie ed esperienze
religiose accomunati dal desiderio di costruire la pace - ormai nota
in tutta Israele e che si è fatta apprezzare anche in Italia con due
tournée, l’ultima delle quali si è conclusa pochi giorni fa.
Angelica Calò Livné, ebrea, allieva prediletta di
Elio Toaff al collegio rabbinico di Roma negli anni Settanta, è una
donna minuta e vulcanica, convinta che la pace non è né un sogno per
ingenui né uno slogan da gridare in piazza, ma un mosaico da
costruire con la pazienza di ogni giorno, e che per realizzarlo si
deve cominciare dall’educazione dei giovani. Anche con il teatro.
«Che — spiega— è la forma espressiva che più di
ogni altra permette la comunicazione di sé e un confronto con
l’altro, è il punto della realtà dove la Bellezza presente nel mondo
si rende più evidente. Nel nostro spettacolo — beresheet. In
principio” —gli attori portano in scena il dramma della guerra, la
violenza che permea i rapporti tra le persone, e insieme la volontà
di costruire una convivenza in cui le differenti identità non sono
un ostacolo, ma piuttosto la condizione perché la costruzione sia
solida e duratura, Il tutto secondo la dinamica dell’incontro, la
stessa che anima i rapporti tra i ragazzi fuori dalla scena e che ha
permesso la nascita di un’amicizia tra ebrei, cristiani e musulmani
in Galilea, germoglio di pace per tutti i popoli che vivono su una
terra benedetta da Dio e bagnata dal sangue di troppi innocenti».
Angelica, sposata con un insegnante che condivide con lei la
passione per l’educazione e madre di quattro figli, è un tipo che
abbatte steccati e attraversa confini. Due anni fa, al culmine
dell’operazione «Scudo di difesa» lanciata da Sharon, pochi giorni
dopo che i carri armati israeliani erano entrati a Jenin, si è
spinta fino a Gerusalemme Est per incontrare un’altra donna
coraggiosa: Samar, araba cristiana, direttrice dell’orfanotrofio di
Betania che ospita bambini musulmani. E’ nata una stima reciproca
per il lavoro educativo a cui entrambe dedicano le loro energie, ed
è sbocciata un’amicizia che le ha spinte a mettere in comune quanto
ciascuna di loro, e i popoli a cui appartengono, hanno di più caro:
così un giorno si sono date appuntamento al Muro del Tempio dove
pregano gli ebrei e da lì percorrendo la via Dolorosa che attraversa
il quartiere cristiano di Gerusalemme, sono salite al Santo
Sepolcro. Angelica è convinta che «ciò che accade a Betania e nel
Teatro dell’Arcobaleno in Galilea è la testimonianza che si può
costruire anche quando intorno sembra prevalere la logica della
distruzione, e che la pace ha bisogno di tutte le nostre energie
umane ma è qualcosa di più grande dei punto di vista di ciascuno di
noi. Sappiamo che dovremo soffrire, ma c’è un disegno buono di cui
tutti siamo parte. Noi siamo solo delle tessere, ma alla fine il
mosaico si farà».
|