Brescia oggi
Giovedì 4 Agosto 2005
La storia di Angelica
Giovani attori di religioni
diverse mettono in scena paure e speranze
Nel settembre del 2002
Angelica Calò Livnè decide di creare una compagnia teatrale di
ragazzi ebrei e arabi, intravedendo nel teatro uno strumento di
crescita e collaborazione tra due popoli in perenne conflitto.
Il Teatro dell’Arcobaleno (Teatron Keshet) nasce a Kerem Ben
Zimra, un moshav a 15 chilometri da «Sasa» (il kibbutz dove
Angelica vive con la sua famiglia), e comprende circa 25 attori
in erba tra ragazzi arabi cristiani, musulmani ed ebrei.
«Dopo un percorso
doloroso e sofferto - racconta - abbiamo allestito uno
spettacolo di teatro-danza che esprime la tragicità dei momenti
che stanno vivendo i nostri due popoli e che cerca di dare il
senso dell’importanza immediata del dialogo. Un lavoro difficile
- ammette - che parte dai ragazzi e dalle loro sensazioni: la
paura e la rabbia in Israele sono sentimenti facili da
nascondere».
Un inizio difficoltoso, segnato da forti reticenze, che è
esploso di colpo durante una fase di conoscenza reciproca fra i
ragazzi, propedeutica allo spettacolo. «Una ragazza stava
raccontando della sua ultima vacanza a Mombasa con il padre e i
fratelli - racconta Angelica - quando l’albergo in cui si
trovava è diventato teatro di morte ed orrore, dopo un attentato
terroristico contro cittadini israeliani».
È stato l’inizio di un
viaggio attraverso i sogni e le paure di questi ragazzi, un
lungo e sofferto discorso sulla convivenza tra arabi e
israeliani, durante il quale ad ognuno veniva chiesto di provare
ad esprimere i propri sentimenti. Da questo intenso lavoro di
analisi di gruppo è nato «beresheet» (In Principio). Lo
spettacolo prende spunto da una rappresentazione messa in scena
a New York durante la Seconda guerra mondiale («l’illuminazione
- sottolinea Angelica - viene da mia madre»), dove giovani
attori scampati ai campi di sterminio raccontavano di tutti
coloro che erano ancora internati ad Auschwitz, implorando il
mondo di fermare la barbarie nazista: «Credo profondamente che
il nostro lavoro sia un messaggio di fiducia nell’avvenire, una
vittoria della positività sul male. Chiunque vi assiste -
sottolinea l’ideatrice - scopre molte cose che non immaginava su
questo terribile conflitto e sulla profonda speranza che abbiamo
di risolverlo».
Una rappresentazione che
colpisce e che non lascia sicuramente indifferenti, se è vero
che, come racconta Angelica, «una volta a Milano siamo riusciti
a far piangere anche uno degli agenti del Mossad che ci fanno da
scorta».
Da tempo la Compagnia
dell’Arcobaleno organizza lunghi tour nel nostro Paese, nelle
scuole e nelle comunità che chiedono di assistere alla
rappresentazione «beresheet». A Pasqua lo spettacolo è
transitato da Brescia e una classe di studenti ha scritto ad
Angelica una lettera dai toni molto accesi, accusando la
rappresentazione di essere troppo filo-israeliana: «Questa frase
mi ha molto rattristato - ricorda -, dandomi la sensazione che i
ragazzi siano venuti a vedere lo spettacolo con la mente carica
di pregiudizi».
Una forma di pregiudizio
che nasce - secondo Angelica - dalla profonda disinformazione
sulla reale situazione del suo Paese. In cui ormai non esistono
più carnefici, ma solo vittime della stessa violenza.
f.a.