Un teatro
che sa comunicare la pace.
di Dr. Silvia GuettaFlavio
15 Maggio 2005
Tra gli interrogativi che occupano la mente degli
educatori si affaccia molto spesso quello di come sia possibile educare
le giovani generazioni alla pace, alla convivenza pacifica, allo sviluppo
ed alla condivisione responsabile dei valori democratici, perché le
immagini e i messaggi che da tutto il mondo arrivano favoriscono la
costruzione di un immaginario di convivenza aggressiva e violenta piuttosto
che pacifica e costruttiva. Sembra infatti che i nostri nuovi strumenti
di diffusione delle informazioni si siano particolarmente preoccupati
di far circolare l’immagine di un mondo che si occupa solo di regolare
i rapporti tra i popoli attraverso la forza delle armi.
Perché diamo forza a questa immagine senza poi domandarci
cosa vedono i ragazzi che sono lontani dai conflitti quando guardano
quelle immagini, cosa smuove in loro la notizia di una bomba esplosa
o di un kamikaze che si è fatto esplodere su un autobus?
Quale aiuto può dare per la costruzione di una convivenza
tra i diversi popoli e le differenti culture questo continuo flusso
di input espliciti ed impliciti che mostrano solo un mondo distrutto
e lacerato. Perché non viene lasciato dello spazio per poter conoscere
ciò che per la pace viene fatto e come si possono costruire, nello sforzo
quotidiano delle persone, meravigliose esperienze di convivenza tra
gruppi che qualcuno vuole mantenere ostile.
Educare alla pace significa in primo luogo recuperare
il valore della persona e il senso di ottimismo che ci permette di vivere.
Per questo può aiutare cominciare a fare vedere a coloro che sono lontani
dai conflitti che in quelle stesse realtà convivono situazione di speranza
dove ci sono persone che lavorano per la pace e che anche se le loro
conquiste e i loro successi sono infinitamente piccoli rispetto ai grandi
problemi del mondo, sono gli unici che si avvicinano alla nostra dimensione
del quotidiano ed alle nostre possibilità di intervento per una società
diversa. Quelle esperienze sono le uniche che ci permettono di non sentirci
disarmati di fronte alle grandi decisioni politiche che passano sopra
le nostre teste.
Per questo è indubbiamente importante portare i ragazzi
ad esplorare come, attraverso il mondo espressivo, dell’arte si possano
raggiungere dei risultati molto spesso inaspettati. Una esperienza di
queste è lo spettacolo teatrale per dire che la pace non è un’utopia
ma un traguardo raggiungibile, anche in un momento in cui l’odio e i
conflitti sembrano essere l’ultima e definitiva parola, specialmente
nelle terre devastate del Medio Oriente.
La compagnia israeliana“Teatro dell’Arcobaleno” è
formata da piu' di quaranta giovani attori provenienti dalla Galilea
e appartenenti a diverse etnie, culture ed esperienze religiose, e porta
in scena “beresheet-In principio”: uno spettacolo di mimo, suoni e danze,
metafora artistica sia della tragicità del momento che stiamo vivendo,
sia della possibilità di costruire nuove convivenze a partire da un
confronto tra popoli e persone che non cancelli ma valorizzi le differenti
identità.
Proprio il teatro viene proposto come lo strumento
che in maniera efficace può esprimere questa possibilità e farla diventare
un’ipotesi di lavoro con cui sono chiamate a confrontarsi la società
civile e le istituzioni, in Medio Oriente e anche in Occidente, dove
il terrorismo e la guerra sembrano sempre di più gli orizzonti di riferimento
con cui misurarsi.
Artefice di questa incredibile e utopica, ma nello
stesso tempo appassionante esperienza educativa, è Angelica Calò Livnè
che insegna a recitare la pace a ragazzi ebrei, arabi, circassi, drusi,
cristiani, musulmani e che dagli stessi ragazzi attinge la forza per
sperare, anche nei momenti più terribili del conflitto, di vedere un
mondo migliore. Un mondo dove la pace è possibile.
Dr. Silvia Guetta
Docente di Pedagogia all'Universita' di Firenze
15/5/2005
|